PEDAGOGIE. Ma poi è "roba per Premanesi".
Un post lungo, che sembra tecnico ma non lo è, che sembra parlare agli insegnanti e invece parla ai miei comparsani.
Richard Louv, in seguito ad una lunga indagine sugli stili di vita, descrive il Nature Deficit Disorder nei bambini (2006). Pare che la sua ipotesi sia confermata sul piano scientifico: la perdita progressiva di esperienze a contatto con gli elementi naturali e, più in generale, l'iperprotezione dei bambini dal e nell'ambiente esterno può indurre deficit attentivi, disagi emotivi, difficoltà relazionali.
L'abuso di dispositivi digitali e del gioco on line è interpretato da un altro studioso, lo psicobiologo Peter Gray (2015), non come una causa dell'alienazione dall' outdoor, ma una conseguenza, una risposta coerente dei bambini al bisogno sano di sottrarsi all'invasivo controllo adulto.
Queste le mie letture di inizio ferie. Idee per me ben nuove, che mi inducono a riflettere sulle tante componenti relazionali della formazione in età evolutiva. Relazione è il movimento (relazione con lo spazio, con il proprio corpo), è la varietà di esperienza sensoriale, è l'oralità spontanea (funzionale, di comunicazione intima, di intrattenimento...). Relazione sono l'ambiente, il gruppo, l'equilibrio nel distinguere e adeguare desideri-bisogni-richieste.
Molti fra i più grandi pedagogisti descrivono anche l'apprendimento in senso stretto come "fatto sociale".
Penso alla qualità del tempo libero, a quale fosse il fuori-scuola dei ragazzi fino a pochi anni fa. Penso alla pedagogia della strada, all'importanza - anzi alla necessità - per i ragazzini di agire abitualmente anche in un contesto non strutturato. Sogno perfino - proprio io, navigata prof in cattedra - una de-scolarizzazione del tempo, che può essere sottratto a una scuola "malata di bulimia didattica" (Farné, 2018).
Perché questo sia possibile, è tuttavia necessaria una robusta comunità di paese, di quartiere, è necessario che esistano i gruppi spontanei di ragazzi, che siano opportunamente numerosi, eterogenei e ben integrati nel tessuto sociale. Tutte cose che non esistono più, (o resistono sporadicamente) neppure nei centri rurali.
Se, fino a pochi decenni fa, ciò che mancava ai nostri ragazzi di paese era la varietà degli stimoli, la conoscenza del mondo, oggi anche a loro manca il contatto profondo con sé e la relazione con l'esterno: muoversi liberamente, imparare dai pari a gestire il rischio, toccare e maneggiare gli oggetti, parlare, ascoltare i racconti, discutere, relazionarsi in gruppi trasversali per età ed estrazione sociale, trovare nel gruppo stimolo, sfida ma anche protezione.
Senza forzare troppo, potremmo dire con Pavese che "un paese ci vuole", senonché neanche il paese ormai - destinato sempre più evidentemente a riprodurre stili e ritmi cittadini - offre questo tipo di esperienza.
Tuttavia.
Tuttavia noi, qui in alta valle, noi di Premana, si ha l'alpeggio. Non è spiegabile in poche righe cosa sia un alpeggio premanese a chi non lo conosca (cioè quasi tutti). Questa considerazione perciò è proprio "roba per Premanesi", mi si perdoni. L'alpeggio con il suo gruppo, l'alpeggio dove si gioca fuori tutto il giorno, dove casa mia è casa tua, dove si parla, si parla, si parla; l'alpeggio, dove si tocca tutto, tutto è gioco ed ogni gioco insegna a farsi male senza farsi troppo male.
Arrivo - è il 9 agosto 2024 - a considerare la pedagogia d'alpeggio come insostituibile.
Portate i bambini in alpeggio, lasciate che si sporchino, che litighino, che imparino le parolacce dai più grandi.
"Un alpeggio ci vuole".