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LESA MAESTÀ. ANCORA DI CONTICINI.

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La scuola italiana non è immobile. O, meglio, è rimasta colpevolmente immobile nei principi fondanti del peggior gentilianesimo (nel senso che ci sono tratti del pensiero di G.G. che avrebbero potuto essere valorizzati, ma si è preferito premiare classismo e antipedagogismo). Si è però trasformata, la scuola, nel tempo; piano piano, riforma dopo direttiva e indicazione dopo riforma, ha mutato pelle: da "scuola dei filosofi" (avercene!), è diventata "scuola dei contabili". Dietro, una silenziosa e lacerante dicotomia: mentre i documenti ministeriali andavano arricchendosi di dichiarazioni ideali (significatività, autonomia, esperienza, cittadinanza, valenza formativa, inclusione, motivazione), le prassi di valutazione si facevano via via più assillanti, automatiche, classificatorie, chartizzate. La ragione, l'unica vera ragione, è stata la sfiducia: sfiducia delle famiglie nella scuola, sfiducia degli insegnanti nelle loro prerogative. Così "valutare" ...

TESTIMONIANZA. Ancora di valutazione e amenità simili.

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Condivido una riflessione un po' sovversiva. Chi mi conosce sa che il voto non mi appassiona, che dei voti non mi fido nemmeno quando li metto io. La mia mentore, la mia prof di lettere al liceo, sosteneva che un insegnante "deve saper mettere un quattro come fosse un premio e un otto come fosse uno schiaffo". Io non credo di esserne capace, ma ci provo e le ragioni sono ben spiegate in questo commento, rubato da un social network. «Non ho mai fatto i compiti (dalle elementari al liceo). In alcune materie non avevo intenzionalmente il quaderno. Al liceo scientifico avevo 2 in matematica, nonostante fossi andato alle olimpiadi nazionali di matematica e ho poi studiato ing. fisica al PoliMi. Avevo appena il 6 in filosofia, nonostante leggessi le opere dei filosofi dalle elementari. Sono stato bocciato per ritorsione di una prof (poi allontanata dall'istituto per problemi psichici). La prof di matematica e informatica disse ai miei genitori di scegliere per me tra la ve...

DIARIO POLVEROSO DI UN CONTABILE SUO MALGRADO .

5/5 L'ossessione del voto mi consuma. E li spegne. Il voto, il numero, è vissuto dai miei alunni come una retribuzione e un trofeo (o un giorno di magra e un'onta, a seconda dei casi). È fine a sé stesso ed è l'unico vero fine della fatica. Per il voto forse non si fa tutto, ma certo tutto si fa per il voto. Il numero è così potente, che rischia di uccidere qualunque interesse spontaneo. Ora: pensiamo a quanti fattori influenzano un voto numerico, compresa la quasi inevitabile "media" fra conoscenze e competenze diverse, compresa la quasi inevitabile dose di soggettività nella verifica, sia in fase di progettazione, sia nella valutazione. Pensiamo alla povertà di uno sforzo cognitivo finalizzato unicamente ad una performance limitata e circoscritta. Pensiamo - in prospettiva - ad un lavoro, qualunque lavoro, svolto unicamente per la retribuzione. Dove sta il "merito" in tutto ciò? Dove sta la crescita personale? Dove stanno la cultura e la "...