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LOMBARDI IN LAGUNA, SPLENDORI E NOBILTÀ.

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Se l'epoca è quella dell'ostentazione, Venezia è addirittura arrogante: l'arroganza del potere e del denaro, ma con quale raffinato apparire! Il corteo è grandioso, esagerato. Dietro il Bucintoro con il Doge e la Corner - ex regina, vinta, sì, ma pur sempre regina e figlia della miglior aristocrazia veneziana - si dipana una miriade di imbarcazioni dai colori e dalle fogge più stupefacenti. Per non parlare degli abiti: sete cangianti e velluti, lacca, pietre, ori. Ebbene, là in fondo, a chiudere il corteo in dignitosa umiltà, non senza l'orgoglio di una nobiltà diversa, quattro legni.  Barche di foggia antica, semplice, ma elegante. Sono l'omaggio alla regina in esilio di un popolo anch'esso lontano dalla patria, ma che, come lei, sente di condividere almeno un po' la grandezza di Venezia. Si dice che quella gente sia scesa dalle valli lombarde, che quei lindi battelli vengano dal lago di un altro Ducato, che abbiano una loro storia.  Si dice ch...

LA FAMIGLIA BRAMBILLA IN VACANZA

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 - Gianmarco, rimprovera il bimbo, fatti sentire, per la miseria. Ha passato più di venti minuti sul telefono. Gli fa male. Gianmarco si erge pesantemente in tutta la sua brianzola autorevolezza. Si avvicina al bimbo e biascica qualcosa mentre gli sfila il cellulare dalle mani.  Ma, siccome la solida educazione impartita in famiglia deve essere riconoscibile e riconosciuta, la voce della signora Mariamaddalena si alza di un tono. Due toni.  - Giampi lo sai che ci sono delle regole! Giampi, occhiale di metallo e capello alla Hitlerjugend, chiede mestamente scusa e si alza a sua volta. Unmetroesettantacinqueerotti: perché Giampi, il bimbo, ha quasi quindici anni. E ha passato ventiminutiventi sul telefono. Una tragedia. La giovane madre si sistema il casto costume da bagno color quaresima e intima:   - Adesso facciamo la passeggiatina, poi il bagno. Ho portato la fruuutta fresssca così non mangiate le schifezze del bar. Tira su la sorellina di Giampi, le spolve...

NANNA

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Nanna contempla il suo sposo che si gira pigramente nel letto. Non sa perché lui l'abbia scelta, ma essere sua moglie la appaga. Nanna è lieve e discreta mentre si alza, è silenziosa mentre si immerge nell'acqua calda del bagno. Si muove senza far rumore: non per rispetto al sonno del suo uomo, ma perché Nanna è così. Nanna non crede di poter essere motivo di gioia, ma sa di poter portare pace: è una lezione antica, tramandata dalle donne di famiglia. Pace è una stanza che profuma di bucato e una mensa ordinata, pace è il sorriso riservato alle sere complicate o stanche, pace è la grazia. Nanna ha appreso ogni cosa fin dalla fanciullezza. Lui si sveglia e sa già che troverà Nanna che canticchia in cucina, una lama di luce polverosa filtrata dalle imposte fra i capelli.  La guarda. Ha capito che Nanna gli darà un figlio e da allora lo stufato è più sapido, le ore del mattino più luminose, le strade della città più eccitanti. Nanna sa fare, sa dare pace, sa portare den...

GIUSEPPE

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Giuseppe il costruttore nacque sotto il segno della negazione. Il piccolo, già intento a costruire il proprio cuore, con la manina stretta nella mano materna, trovava sempre troppo lunga e affollata la via di casa, negava i baci e irritava le matrone inopportune. Il ludus aveva finestre alte, aule fredde e stretti corridoi. Gli rimase estraneo. Sui banchi negò perfino se stesso agli altri, costruendo un suo mondo interiore, geometrico labirinto. E irritava gli insegnanti incomprensivi. Dentro la sua corazza ormai temprata a dovere, negli anni Giuseppe esplorò la sua città. Attraversava gli incroci e frequentava mercati e palestre. Qui negò profondità all'amicizia e superficialità all'amore. Accumulava materiali per costruire la sua strata , ma irritava i conoscenti dall'occhio vanesio e dal giudizio ordinario. Con un cuore puro, un'anima severa e una strada in mente, Giuseppe andò per il mondo. Viaggiò sotto il sole cocente e attraverso nebbie gelide; bevve nei...

FAFNIR

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«Fafnir è ricco. Ma è un nano», un commento buttato là sul tavolo appena sparecchiato. Maia si stupisce senza darlo a vedere, ripone la tovaglia piegata: «Passami le sigarette. Non è basso». La notte di luglio si raggruma pigra oltre la finestra aperta, il languore invita le parole: «No, non è basso. Ma è un nano, vero?». Pare che Abel cerchi un confronto, nel suo modo svagato, scrutando il fondo della tazzina vuota: «Cosa sai di Fafnir?» Lei si versa ancora del caffè, intiepidito ma forte: «L'ho visto bimbo, c'ero quando è comparsa la peluria sul suo labbro, so qualcosa. Perché ti interessa?» «Non mi interessa, in realtà. Ma mi infastidisce chi mi si impone allo sguardo. Parlami di lui». «Fafnir aveva lineamenti passabilmente fini, ma nessuna umanità che li animasse. Nei giochi infantili non ruzzolava con i compagni, non si sbucciava le ginocchia, non si sporcava. Era conscio di essere nano e credeva che la supponenza potesse passare per distinzione. Dentro le aule rumoros...

ATE

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Seduta sulla riva del lago si specchia nell'acqua quasi ferma. È disperata, ma lo ignora. Ate si è innamorata presto, subito, alla prima lode per la sua bellezza, al primo sguardo troppo compiaciuto e indulgente. Ate si è innamorata ancora infante. Un giorno, il giorno della festa, nel bel giardino rigoglioso, anime sciocche le donarono una veste: era pretenziosa ed era stata acquistata col nome di maturità . Qualcuno volle assecondare il suo spirito incerto e le procurò belletti, spacciandoli per princìpi , altri le fecero ritratti e li chiamavano successi . Così l'amore di Ate crebbe, finché occupò ogni angolo del suo cuore: l'amore di Ate per Ate, l'unico vero amore della sua giovane vita. Infine, un pazzo che si diceva amico le portò in dono una lunga notte come fosse libertà e chi doveva custodire la giovane le permise parole troppo veloci per essere vere. Sono passati anni. Bella e inconsapevole Ate ha attraversato le difficoltà col mento in alto e il sorri...

ESTIA

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Sciolti avrebbero perso splendore. I lunghissimi capelli di seta, lucida chioma d'onice e oro brunito, lasciati liberi di ricadere sulle spalle prima del tramonto avrebbero perso il loro magico fulgore. Perciò venivano raccolti in un'alta e pesante acconciatura, da sempre. Da sempre Estia copriva con quella massa scura e luminosa la sua nuca e la sua anima delicate. Da sempre la promessa era che, un giorno, qualcuno si sarebbe mostrato degno e perciò capace di passare le dita in quei meravigliosi capelli senza spegnerli. Estia aveva sofferto del suo dono, che le impediva di essere vaga e alla moda, le precludeva la sciocca vivacità e le giornate leggere, che allontanava le compagne più frivole e chiassose, che rimaneva invisibile agli occhi del mondo. Ella non sapeva cosa significasse "mostrarsi degno" e vedeva solo il suo giardino vuoto, la sua stanza silenziosa. Non capiva quale capacità fosse necessaria per conoscere a fondo il suo mistero: non sapeva, invero, di ...