Bellezza e libertà: la coerenza si paga
È sera. Accanto a me bimba, a letto, una voce recita "Oh Valentino vestito di nuovo...": non comprendo il significato di "brocche", ma mi commuovo. Poi, ragazzina, mi trovo scarrozzata in auto per i paesi alle pendici del Gran Sasso; è la fine di agosto e dentro di me affiorano spontaneamente i versi "Settembre. Andiamo, è tempo di migrare...". Ancora non so chi sia D'Annunzio, ma ne possiedo le parole.
Mia madre mi ha insegnato la poesia. Mi ha nutrito di bellezza fin da piccolissima.
Perciò non tollerava gli orpelli eccessivi, segno di pacchianeria, e i congiuntivi errati: era comunque una questione di bellezza.
Mio padre era irremovibile su un punto: il bene si fa in silenzio. Perciò nemmeno qui dirò il - tanto - bene che ha fatto.
Ma lui mi ha voluto soprattutto libera, dalle casacche e dall'ombra del campanile. Mi ha insegnato con la sua vita che ciò che importa è essere fedeli a sé stessi, mi ha insegnato la coerenza. E che la coerenza si paga.
Tutto ciò che amo in me è quel poco che ho saputo trattenere dei miei genitori.
È per questo che domani, dopo un quarto di secolo, non "preparerò la cartella" per prendere posto in cattedra. Ho bisogno di filarmela almeno per un po' dalla scuola italiana dei ragionieri e dei burocrati, delle quantità e delle firme, dove non c'è più tempo per la bellezza e manca la libertà.
Quest' anno farò la disoccupata: la coerenza si paga, non è una metafora. Tornerò... dovrò farlo, credo. Spero di aver riconquistato nel frattempo la voglia e la capacità di battermi.
Ma mi metto ufficialmente a disposizione sul mercato.