"Cavalli otto, uomini quaranta": la tradotta verso il fronte
Se amate o studiate la storia, leggetelo; vi prenderà per mano e vi condurrà a cercare tanti documenti misconosciuti.
Se siete fra coloro che celebrano il Quattro Novembre e canticchiano "Il Piave mormorava", leggetelo; vi chiederà perché e vi suggerirà come.
Se mai vi siete fermati da turisti a Redipuglia, leggetelo, ne è l'antitesi necessaria a trovare l'equilibrio.
Se anche la Grande Guerra non vi ha mai toccato o incuriosito, leggetelo comunque: potreste essere abbagliati da un'improvvisa scintilla di verità e scoprire magari un pezzettino della vostra anima.
Ai confini di quello che fu il vecchio impero di Franz Joseph, si conserva un barlume di pietà e una speranza di consapevolezza del "fronte dimenticato", die vergessene Front.
Rumiz sa documentare con la potenza narrativa di un aedo e la parola visionaria di un profeta.
Scrittore a caccia di memoria, percorre il fronte orientale, lo setaccia, lo ascolta. Cerca i Centomila "italiani con la divisa sbagliata" caduti con onore per la bandiera asburgica, dimenticati da tutti: i suoi triestini, istriani, trentini; guidato dalle lettere, dai diari di guerra, dalle mappe dell' Österreichisches schwarzes Kreuz e dalla enorme, indifferente Luna dell'Est, li cerca fra i rottami degli imperi , scarpinando la sera per i cimiteri di Galizia; li cerca e li chiama, nominandoli uno ad uno.
"Vien, che cantemo 'El s'ciopo e la gamela' e po' mandemo in mona i generai".
Scende dal colle del cimitero 185 "col cuore gonfio, in una tempesta di pensieri". Allo stesso modo, col cuore gonfio e in una tempesta di pensieri, il lettore avanza attraverso le pagine.
Rumiz cerca "i suoi", ma con Giuliani e Tirolesi trova Polacchi, Russi, Croati, Bosniaci, Austriaci. Cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani. Nel culto dei morti, nel dolore che accomuna pietosamente vincitori e vinti, che non conosce divise e fedi, c'è il seme della civiltà.