La ruota. Hermann Hesse.
Chiedo venia e riparto.
Per anni - molti anni - ho snobbato Hermann Hesse, forse perché divenuto una sorta di bandiera letteraria dei fricchettoni di quartiere (che spesso nemmeno lo avevano letto), o per essere, con il suo Siddharta, un'icona New Age, prigioniero della moda dei "buddisti da aperitivo", come scrisse Luca Negri in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del Nobel tedesco.
Il "mio" Hesse è quello del misconosciuto Unterm Rad, Sotto la ruota. È il racconto grigio di uno studente modello, orgoglio del padre, che rischia di farsi rubare l'anima dalla rigida educazione prussiana; è la poesia del sole sulla riva del fiume, dei conigli selvatici, dell'attrazione mortale per l'acqua-grembo; è la storia spietata del giovane Hans, troppo sensibile per la scuola teutonica, troppo colto per la fabbrica teutonica, troppo umano per sopravvivere al mito della prestazione.
Due personaggi del romanzo aprono spiragli di verità: l'umile calzolaio Flaig, l'unico in grado di riconoscere e accusare il cinismo degli educatori, e lo spregiudicato compagno di studi Heilner, il ribelle che incarna le ragioni della giovinezza, dell'intelligenza libera, dello spirito.
Un tragico romanzo di formazione e di sconfitta, dove la vera sconfitta è quella dell'ambizione paterna e di un modello educativo senz'anima, una ruota che schiaccia chi non sale sul carro.