Si cerca sempre sé stessi in un libro. Milano.
Arrivare alla mia bella età per capire l'ovvio non mi fa onore, ma tant'è. Si cerca sempre sé stessi in un libro.
Recentemente ho cercato chiavi di lettura. Ho rivangato Hesse, ho compulsato Kafka, pensavo spesso a Mann, al Tonio Kröger, soprattutto.
Ma il desiderio che mi trascinavo da un po' era Milano. Avevo voglia di tastare la mia Milano mitica - credo sepolta - quella umana, meneghina.
Rivangavo col pensiero Santucci, la casa di corso Monforte, ma non funzionava: troppo dolcemente malinconico, troppo manzoniano, troppo "Brianza bianca".
La mia Milano mitica è di trani, alzaie e metallurgia: volevo l'equivalente narrativo di Nanni Svampa.
Ecco, cominciare da Scerba! Milano me l'avrebbe regalata un ucraino: Giorgio Scerbanenco, per la nostra anagrafe. Ma non avevo voglia di rileggere il già letto, il genere noir non sopporta bene troppe ripetizioni. Volevo qualcosa di nuovo e l'ho cercato in biblioteca (cosa rara, tendo a collezionare libri-oggetto). In biblio non c'era però molto che non avessi già letto: un solo romanzo.
Così ieri sera ho concluso "Il terzo amore" e no, non mi mancherà questo Scerbanenco delle origini, molto rosa, pure un po' ripetitivo. Si intravvede, sì, la sua conoscenza profonda dei personaggi, il realismo psicologico che scova la meschineria nei "buoni" e i barlumi di umanità dei "cattivi". Però no, non mi è piaciuto. Di strada, dopo, Scerba ne ha fatta tanta.