FORSE CHE SPORT

Alla spicciolata. Ogni anno, all'avvento di agosto, gli alpigiani salgono, aprono baite, rimpinguano cantine ricavate nelle stalle di un tempo, tirano fuori sedie a sdraio, arieggiano camere. Magari solo per pochi giorni, ma sempre, puntuali come le pozzanghere a maggio.
Non è villeggiatura, ché della villeggiatura non ha né i vezzi né gli agi. A parte il fatto che la villeggiatura non esiste più, chi mai villeggerebbe in un grumo di baite senza negozi, senza rete elettrica, dove l'acqua calda te la produci se porti la bombola in quota? È ritorno, è piccoli riti comunitari, è sere fresche nella calura agostana, è l'arte del cazzeggio.
Siccome sono asina nel midollo e odio l'inquinamento acustico, io salgo a piedi, affidando i trasporti pesanti ad anime buone (quando le trovo, visto che la teleferica di servizio è stata sepolta) o rinunciando al rinunciabile. Tanto, la mia vacanza è vacante, essenziale: due cambi d'abito e si mangia ciò che resta in dispensa, tutto il resto è tempo libero e poco casino. I figlioli collaborano.

In questi giorni ho però nobilitato il nostro someggiare sommesso: ho scoperto che pratichiamo inconsapevolmente dell'ottimo rucking. Ora che ho maturato questa coscienza sportiva, "sto a posto": io sono una ruckatrice.

Penso alle generazioni, alle vecchie ingobbite e alle solide reni di mule delle mie antenate; trovo vagamente cretino zavorrare uno zaino di nulla quando il rucksack ti può portare ovunque  companatico e mutande pulite. Ma ci siamo evoluti, pare.

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