Perché la scuola non deve scendere a valle.

Esco all'una, coi ragazzi che precipitano in frotta per le scale, e li guardo. Chi di loro resterà qui, a salire e scendere e superare dislivelli e disagi, a scrutare  la tenuta di un muro a secco che sfida il tempo mentre l'Internet gli permette di interagire col mondo?

 

La montagna si spopola, attratta dall’energia, dalle opportunità dei centri urbani. Eppure, resta una risorsa preziosa, anche - soprattutto? - per voi che vivete laggiù. La  vita in montagna è possibilità di tutela, forse l'ultima: tutela del territorio, tutela dell'umanità.

 

Vivere la montagna significa imparare la consapevolezza di sé, avere in dono spazio e tempo per riflettere; in quota si svela l’essenziale e  alla lunga ciò che è superfluo finisce per essere ridicolo.

 

Dentro le aule rumorose e nei muti registri digitali spesso accantoniamo ciò che è veramente importante – le competenze trasversali, i tempi lenti che portano alla comprensione profonda – per fare spazio alla quantità, alla performance, al progetto da indossare come un vestito nuovo, ai voti da appuntare alle giacchette (dei genitori). Dai sentieri ripidi  la scuola potrebbe apprendere la capacità di fermarsi, badare ai propri piedi, misurare il passo, limitare le zavorre.

 

Nello zaino di scuola andrebbe lasciato uno spazio per le abilità pratiche e una tasca per la crescita autentica.

 Materia e mani, metodo e rigore, osservazione paziente, spessore umano.

 

I miei ragazzi sono i rampolli di generazioni e generazioni di montanari e il loro zainetto ha forse ancora qualche speranza. Sebbene conoscano l'inglese quasi meglio del dialetto. Talvolta vi potranno apparire un po' grezzi, ma io spero rimangano così: anche loro dicono "𝘴𝘵𝘢𝘪 𝘯𝘦𝘭 𝘤𝘩𝘪𝘭𝘭", ma credo sappiano ancora tracciare la loro strada, percorrerla senza sgomitare e, al bisogno, possono piantare un chiodo o accendere una stufa.


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