OUTDOOR

A tratti ci incastriamo dentro i tecnicismi, il cuore si avvolge di compiti da assolvere come un panino nel domopack.
Perdiamo lo sguardo e le parole.

Ho due anime. Una è schietta e morbida. Una è efficiente e calvinista: lei sa, lei studia, lei analizza, lei lavora. È un'anima giudicante. Chi ne ammira i risvolti operativi, me la foraggia inconsapevolmente. Lei funziona ma è antipatica, ve lo garantisco, anche se sembra ganza.
Con quest'anima vado al lavoro ben equipaggiata, rispondo alle e-mail curando urbanità e precisione, raccolgo annotazioni dalle mie letture in ordinate cartelle nel drive. Passo dal microscopio delle virgole al telescopio del domani, ma sono miope e miope rimango. Con quest'anima assegno voti insulsi a compiti sofferti, accidenti a me.
Talora la imbriglio - nella schiuma amarognola di una birra fresca o nella fresca risata di un alunno, se mi innamoro di una parola, quando inciampo nella bellezza o nel dolore o in quella strana cosa che è la vita degli umani, quando l'alba è luminosa, quando il viaggio è lungo o i ragazzi fanno i ragazzi.

Ieri, con le nostre classi e gli accompagnatori del CAI, siamo saliti in montagna.
Ho avuto birra fresca, bellezza, risate, parole che non uscivano dai libri ma dalle anime libere.
A fine giornata qualche accompagnatore ha lodato i ragazzi per come si sanno comportare. Si chiacchierava delle difficoltà che incontrano.

Mi sono chiesta a cosa servano, davvero, queste uscite. Perché e per chi siano "didattiche".
Si impara - tutti e insieme, non "si insegna" - a stringere i denti e sopportare il dolore per arrivare a una meta. A prendere lo zaino a chi è stanco. A badare all'essenziale e lasciar correre ciò che non lo è. A salutare giovialmente chi si incontra.
Si torna a parlare, con i pari e con tutti. A giocare con niente. A ridurre le distanze fino a toccarsi.
Ma noi, soprattutto noi insegnanti, abbiamo molto da guadagnare in queste occasioni. Vediamo i nostri ragazzi attraverso gli occhi di altri adulti e tocchiamo con mano il fatto che il nostro giudizio su di loro è parziale e un po' spocchioso. Scopriamo capacità di dialogare dove vedevamo solo chiusura, rigidità dove vedevamo efficacia. Scopriamo piccole generosità e conoscenze inattese.

Infine, si sperimenta quel camminare assieme che dovrebbe essere lo scopo stesso dell'educazione e, oso dire, anche della cultura. Perché la cultura o è per l'uomo, o è sterile e vana.



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