Fritto misto e ovvietà.

Una brezza gradevole spira dal mare verso la spiaggia, sulla spiaggia si stende la terrazza, sulla terrazza si spaparanzano i tavoli del ristorante, con i loro cristalli e quelle onnipresenti e odiose sedie di design al cui schienale non puoi appendere nulla. Umido profumo di salsedine:  lecco furtiva l'interno del polso per sentire il sale sulla pelle (sí, faccio ancora queste cose infantili e un po' sceme).

Io al ristorante proprio non ci so stare, più del cibo mi interessano i dettagli secondari e mi distraggo con le persone attorno, gli oggetti, le atmosfere, mi faccio storie. Stasera, ad esempio, ci si aspetta da me che mi immerga in estasi mistica nei sapori di questo piatto di gnocchetti ai frutti di mare, ma poi, alla fine, che sarà mai: è un piatto di gnocchi eh!

Via via che i tavoli si riempiono, si svuota la bottiglia di vinello fresco mica male e osservo le facce, le schiene...  I ristoratori dediti alle pietanze a base di molluschi e crostacei hanno una responsabilità sociale:  ma guardateli questi poveri commensali, vedete come stanno tutti chini sul piatto, spallucce chiuse,  desiderosi (ci scommetto) di succhiare rumorosamente e costretti a un minimo di urbana decenza. Guardate tutte queste manone intente a stanare animaletti e liberare polpe in punta di forchetta! Poveri, credo che ai cultori del gambero debba venire necessariamente la gobba. 

 Questi ristorantini di mare sono accomunati da una  vicenda socio-cromatica non irrilevante. Qui, una volta, al massimo c'era qualche bettolina bianca e azzurra. Poi i baracchini saranno diventati bagni e i bagni ristoranti. Come ovunque, sono comparse le vetrate e spariti i paravento di paglia; la densa vernice bianca e azzurra presa a prestito dai pescherecci e i salvagenti näif hanno lasciato il posto al total white ottico, al nero, al grigio perla, al panna-avorio-corda-legnofintorustico. Gli ombrelloncini rossi e sghembi con la scritta Algida sono diventati tutti ritti, solidi, quadrati e tanto ampi da poterci accampare una tribù di Tuareg. Ma, se prima tutto andava bene e poteva starci pure l'omaccione peloso in canottiera (che di per sé è una roba da ergastolo), in questa bolla perlacea, se entra una corpulenta signora giallocrinita in arancione e lilla, mi fa venire le palpitazioni - e ti credo che il bianchino fresco mi va di traverso.  Si creano queste artificiose omogeneità in cui mi si annega la fantasia.

 Quanto a fantasia, poi, diciamocelo, se su uno stesso lungomare spuntano dieci, quindici, venti, enne locali, è ovvio che la "ristonomastica" diventa stucchevole o folle: esauriti la Cambusa e il Libeccio, la Rotonda e la Bussola,  la Rosa dei Venti, il Pescatore,  la Capannina (che tenerezza, c'è proprio ovunque 'sta pretesa finto-vip)   arrivano "Il Clandestino susci bar" (sic) e il "Calafuria" e, prima o poi,  vedrete, spunteranno "La cozza ribelle" e "Lo Sgombrotico".

Non parliamo poi di certi Menù, redatti credo sotto  l'effetto di qualche funghetto magico.

 

Su questa bella terrazza ho tutti i sensi intasati e il mare che mi entra nella testa; la cena diventa una roba tipo una matassa da dipanare, il cibo un dettaglio (non che io poi sia particolarmente interessata al cibo).

Comunque, il fritto misto di mare della Bussola è buono, dai. 


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